Mostre - Fotografia "Sabbiografie" di M.Chelucci |
MassenzioArte
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Per informazioni massenzioarte@tiscalinet.it
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"Sabbiografie" mostra fotografica di Maurizio Chelucci, che verrà inaugurata nei nostri locali di Roma ,in via Palermo 28, giovedì 15 giugno alle 19.00, e proseguirà fino al 24 giugno.La mostra rappresenta la sintesi del nuovo percorso di ricerca dell'artista, e per MassenzioArte, la strada da percorrere nell'evoluzione fotografica verso il tremila.
La mostra sabbiografie, di Maurizio Chelucci,
rappresenta, per il settore fotografico di MassenzioArte, la "summa" della
ricerca sulle "contaminazioni" delle forme espressive, e sul problema dei
confini tra linguaggi; temi formalmente aperti con la mostra "osmosi".
La ricerca del Chelucci, che si articola su
piani compositivi multipli, e che, attraverso l'evocazione di forme-memoria
e simboli, ha come fine ultimo la testimonianza del silenzio profondo,
non va esaminata soltanto attraverso i rapporti spazio-temporali, che il
segno in costante divenire evoca, ma da una prospettiva escatologica collettiva,
nella quale le visioni dei mondi superni ed inferi non sono soltanto presenti
nel ricordo del giardino "zen", ma si rincorrono nelle immagini di deità
intermedie, che evaporano subito, nel momento stesso della percezione.
Ci pare di ravvisare reminescenze di molte
delle escatologie mistico-storiche. Il sole zoroastriano, le visioni gnostiche,
il fuoco euclideo e lo stesso universo simbolista cristiano, sotteso e
non esplicitamente formulato.
Ogni immagine rilegge le catastrofi e la macchinazione
roditrice del tempo: trasformata dalla pesantezza della pietra e dalla
sua compattezza volumetrica, nelle evanescenti forme che sabbia, sole e
vento possono creare e distruggere nell'attimo di ..... uno scatto
fotografico.
Potrebbero essere un ricordo non cancellato
dalla memoria di un viaggio in moto che Maurizio Chelucci ha effettuato
alcuni anni fa nel deserto d'Africa. Visioni già scritte nelle dune
del deserto.
E' una prova dell'operazione alchemica degli
elementi: operazione che trasforma la pesantezza della forma rigida nell'infinitamente
piccolo e mobile grano di sabbia, capace di reinventare attraverso vento
ed acqua , realtà mobili che la rigidità della pietra non
lascerebbe intravedere o percepire, ma che vi sono state registrate dall'Io
collettivo.
E' quindi più una mostra sulla percezione
che sulla visione, dove l'obiettivo, sintetizzando gli effetti dell'alchimia
della natura, li travalica e mostra le cause della modificazione della
realtà.
Non è solo il segno dell'effimera forma,
che della sabbia l'occhio percepisce; ad affascinare la mente è
tutto il processo che sottende il lavoro di ricerca. Ed in questa ricerca
Chelucci evoca, sempre in una prospettiva escatologica, visioni di mondi
inferi, che ricordano alla mente l'ingresso della caverna delle caverne
di Nietzche; l'obiettivo della macchina fotografica è il "medium"
attraverso il quale questi mondi si esprimono in una prospettiva effimera
in continua mutazione, formazione ed integrazione di figure e simboli.
E' l'eterno divenire e fluire, che si perpetua
nel momento dello scatto ma, per assurdo, è lo scatto dell'infinitesimo
di secondo che attesta questo eterno divenire, mentre la materia rappresentata
-la sabbia- onnipresente nella realtà della galleria e della rappresentazione
fotografica, attesta la continuità del mutevole.
Questa risultante è logica: è
la sintesi che si crea e ritrova nel linguaggio della "contaminazione"
dei concetti, delle "forme" dei linguaggi, al confine tra il reale
e l'onirico. Visione reale ed olistica ad un tempo.
Le figure archetipali o informali senza una
precisa identificazione in un linguaggio compositivo, delineano l'inconsistenza
e l'instabilità del territorio, la linea di confine tra i piani
che contengono le visioni. Essendovi duplicazione degli stessi piani, i
solchi i segni e le figure, con la loro fluidità semi-rigida, tra
l'acqua e la pietra, creano, attraverso le occasionali ombre della luce,
la quinta dimensione di ricerca.
Nuovi accadimenti svelano ciò che può
essere o non essere. Quindi le foto sono il riflesso spaziale di volumi
che la natura da sola può solo progettare ma non comunicare.
Ovunque l'orecchio ascolta la musica del silenzio;
e come nei giardini zen, trasferendo i dati dalla memoria alla coscienza,
superate le categorie spazio temporali, si ritrova il senso della perdita,
che l'arte "vera" deve comunicare; solo attraverso questo senso della
perdita il silenzio comunica la visione "non umana" dell'esistenza
dell'eterno.
La mostra è da non perdere.
Alessandro D'Ercole
Direttore artistico MassenzioArte
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